Cattedrale di Santa Maria Assunta

La prima notizia della cattedrale è del 956, ma la costruzione dell’edificio odierno fu avviata solo dopo il 1155, anno in cui Spoleto fu devastata dall’esercito imperiale di Federico “Barbarossa”. Terminò, probabilmente, intorno al 1232, quando qui fu canonizzato Sant’Antonio da Padova. Nei secoli successivi la chiesa si andò progressivamente trasformando: nel XV secolo Filippo Lippi realizzò gli affreschi dell’abside; tra XV e XVI secolo fu costruito il portico rinascimentale e dal 1638 venne integralmente ricostruito l’interno.
Il campanile e la facciata conservano oggi il bellissimo aspetto romanico, e quest’ultima è impreziosita dai cinque rosoni, dal portico, opera di Ambrogio Barocci da Milano realizzata tra 1491 e 1504, e dal mosaico, firmato e datato da un “Doctor Solsternus” nel 1207. Bellissimo il portale maggiore romanico, finemente scolpito. L’interno della chiesa è totalmente diverso, poiché esso si presenta con l’aspetto scaturito dal rinnovamento seicentesco, promosso dai Barberini e realizzato dagli architetti camerali Luigi Arrigucci e Domenico Castelli tra il 1638 e il 1644. Il bellissimo pavimento della navata centrale è invece ancora quello originale della cattedrale romanica ed è di tipo cosmatesco, composto di tessere di pietra, porfido e serpentino. Un ulteriore rinnovamento dell’interno del duomo, fu effettuato tra il 1785 e il 1792, diretto dall’architetto Giuseppe Valadier.
La Cattedrale di Spoleto conserva preziose opere d’arte, tra le quali gli affreschi del Pintoricchio nella cappella Eroli (1497), la Santissima Icone, preziosa opera bizantina dell’XI-XII secolo, donata nel 1185 dall’Imperatore Federico Barbarossa in segno di pace, una lettera autografa di San Francesco ed una croce dipinta di Alberto Sotio, firmata e datata 1187, uno dei migliori esemplari di croce dipinta di epoca romanica in Italia. L’abside è interamente decorata dai bellissimi affreschi raffiguranti Storie della Vergine, realizzati tra 1467 e 1469 da Fra’ Filippo Lippi, le cui spoglie sono custodite nel monumento sepolcrale situato nel transetto destro.
Informazioni utili
Telefono: 0743 46434 – Fax: 0743 46434
E-mail: spoleto@sistemamuseo.it
Tipologia: Artistico, Religioso, Storico Orari di apertura:
aprile – ottobre
tutti i giorni 8.30-19.00
“L’amorosa figura”: quando Filippo Lippi si innamorò di suor Marta
Di Laura Corchia
Quando viene chiamato al monastero di Santa Margherita di Prato a dipingere sopra l’altare maggiore una Madonna e Angeli, Filippo Lippi è «frate ormai di non bianchissima fama» che ha sfogliato «più sottogonne e colletti di donne che tomi di scolastica».
Allora Filippo aveva compiuto la “tonda età di cinquant’anni”, ma nonostante indossasse la tonaca, da sempre si era mostrato galante nei confronti del gentil sesso. Filippo sapeva di possedere un ingegno celeste, ingegno manifestatosi fin da quando era novizio presso il fiorentino convento del Carmine. “Come Vasari dice, e Bandello ricopia”, il giovane Filippo invece di studiare non faceva altro che “imbrattare con disegni di fantocci i libri suoi e altrui”. Figure che con lamenti chiedevano “di venire al mondo degli occhi”, quindi il Priore del convento, avendo intuito il “bel dono” del novizio lo lasciava lavorare con “sguardo e pennello” giacché “al mondo c’è bisogno di ogni arte, e ben si vede qual è la tua”. Ma è “tempo di avviarsi a narrare la storia, senza la quale il racconto non sarebbe cominciato”. Giungeva Filippo da Firenze a Prato in compagnia di fra Diamante, come lui entrato, con assai meno valore, “nello studio e nella pratica della pittura”. Anche a Prato non mancavano donne da guardare e da desiderare, alle quali lanciare con sguardi complimenti, elogi e “promesse di piacere” che presto diventavano realtà perché spesso Filippo trascurava santi e angeli da affrescare su pale ed altari. Adesso la nomea del frate malandrino si era sparsa per Prato non nuocendo alla sua fama, “anzi qualcosa aggiungeva al nome del nostro pittore”. Curiosamente Filippo continuava a rimandare l’opera al monastero di Santa Margherita fino al giorno nel quale durante un furioso temporale i due frati erano corsi a ripararsi “a tonache alzate” sotto uno “sporto di bottega” proprio nel momento in cui erano arrivate dalla parte opposta tre monache di corsa anche loro in cerca di riparo. Filippo “pittore d’immagini” era rimasto colpito dalla novizia, dal volto di quella giovane donna, già immaginando di cogliere col pennello il colore, la forma e ”l’amorosa figura”. Ciò che Filippo aveva visto nel viso della novizia “non fu cosa che potesse dimenticare né subito né mai: e lo lasciò a bocca aperta, occhi fissi, respiro interrotto e cuore in capriola”. Probabilmente mai avrebbe immaginato di incontrare la donna della sua vita, quella che gli darà un figlio, anch’egli pittore. Lei, suor Marta, è la bellissima Lucrezia Butti, costretta dalla ricca famiglia fiorentina a farsi monaca. Tra una pennellata e l’altra, lui la seduce. Lei cede alle lusinghe e fuggono insieme, consumando finalmente quell’amore che fin da subito li aveva sconvolti. La storica vicenda narrata dal Vasari viene ripercorsa da Roberto Piumini. “L’amorosa figura”, volume edito da Skira, fa parte di quella serie di libri per ragazzi riscritti per adulti a cui Piumini ha abituato i suoi lettori da tempo. «Non sono un grande appassionato o frequentatore di mostre o musei, non mi considero un esperto d’arte ? spiega ?, mi importa la parte storica, non l’accumulo del pittorico. Mi piace raccontare l’arte attraverso i rapporti tra pittore e modelli. Quello artistico è un teatro incredibile, molto più della musica. Scrivere di letteratura è terribile ed è, in un certo senso, un gioco peccaminoso per sua natura, scrivere d’arte è divertente». Non è un caso che Piumini abbia anche un rapporto stretto con questa mostra. I curatori gli hanno chiesto di comporre, per ogni opera, una serie di didascalie, spesso in rima, a misura di bambino («e di adulto che voglia divertirsi») che sono state raccolte in un libretto. «Una sorta di animazione letteraria ? dice ? che costringe a guardare il quadro con il gusto per la demistificazione. L’ho già fatto una quindicina di volte: per la mostra degli arazzi di Artemisia a Palazzo Strozzi di Firenze, per quella del Bronzino, per dieci piccoli musei dell’Umbria e per qualche altro». Il gusto per la demistificazione si vede per esempio nel commento a un’opera di Luca della Robbia, dove Piumini si diverte a collegare un Gesù bambino con gli occhi leggermente a mandorla all’attuale presenza dei cinesi a Prato: «Ebbene, per il volto di Gesù, / il Della Robbia, che modello prese? / Se guardi bene, noterai anche tu / che fu, di certo, un piccolo cinese». La differenza tra il testo per ragazzi e lo stesso testo riscritto per adulti sta, dice Piumini, soprattutto nel linguaggio: «Nei testi per ragazzi un po’ di mimetismo linguistico c’è, ma non così accentuato. Qui c’è anche qualche aspetto tematico leggermente diverso: manca la parte più maliziosa, inventata, in cui si fa capire che Lippi faceva dei ritratti vagamente pornografici».Nel libro Piumini parte dal viaggio che porta Filippo da Firenze a Prato. «Nella parte iniziale mi godo il paesaggio che conosco bene ? dice lo scrittore ?, faccio percepire l’ambiente, la campagna, il clima». Poi si mette in scena l’incontro casuale con messer Francesco Buti, l’arrogante fratello di Lucrezia, l’arrivo in città, i primi lavori e l’incontro con la monaca. Secondo la lettura di Piumini, il pittore convince la badessa a consentirgli di usare la suora come modella per il volto della Madonna. Non servono parole, basta uno sguardo e poi «un appuntamento alle prime ombre, cavalli pronti, una strada per la collina, una casa di contadini amici e discreti: al monastero di Santa Margherita mancò una monaca quella sera di giugno».